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Caldo anomalo, per le api è ancora primavera

Gli alveari operativi come nella bella stagione, ma sono fioriture anomale, con poco nettare.
Per i produttori, cali nell’ordine del 60%

La presidente di CIA Venezia Senno: «Ecosistema confuso, ben vengano i contributi della Regione per gli apicoltori professionisti»

Per le api è ancora primavera e provano a fare il miele nonostante sia novembre. I cambiamenti climatici, l’anno più caldo e siccitoso che si ricordi a memoria d’uomo, provocano anche questi effetti: per le api non è ancora tempo di “riposo”. Ma gli effetti sono disastrosi.

«Siamo ai primi di novembre – testimonia Matteo Giora, apicoltore di Fossò, nel Veneziano – e anche di pomeriggio e senza sole o con queste prime piogge, le api sono operative. Di solito la loro attività di svolge nei mesi caldi e in questo periodo, se le condizioni meteo lo permettono, in una fascia oraria che più o meno va dalle 10 del mattino all’una del pomeriggio. In queste settimane, invece, si può dire che le api abbiano perso la bussola».

Colpa del caldo anomalo e del fatto che le piante invernali stanno fiorendo in anticipo e quelle estive sono ancora verdi.
«Nei miei campi ho dei nespoli giapponesi, che dovrebbero fiorire a dicembre. Oppure il tarassaco, che dovrebbe fiorire tra marzo e aprile. Ma sono già in fiore e le api provano a fare scorte per l’inverno. Ma sono fioriture anomale, scarse di nettare. Le gemme, per essere pronte e cariche, devono seguire un ciclo diverso, con gelate invernali che permettono di dare la spinta giusta per la fioritura in primavera. Adesso le api si stanno solo sfiancando, non raccolgono abbastanza nettare».

Questo ha ripercussioni di vario tipo. «C’è meno nutrimento per le api, che muoiono o non si riproducono», conferma Giora. «E poi sono più esposte ad agenti patogeni: le api sono disorientate, in alcuni casi non riescono neanche a ritrovare l’alveare e lo abbandonano. Al tutto si è aggiunta anche la siccità: ho dovuto mettere delle ciotole tra le arnie per permettere alle api di abbeverarsi».
Il tutto si traduce anche in un danno economico. «Con fioriture fuori stagione e poco cariche e sempre più brevi a causa del caldo, quest’anno abbiamo avuto la metà del nettare e perso il 50-60% della produzione».

La produzione italiana di miele è poco meno di 8 mila tonnellate per un valore di oltre 61 milioni di euro, ma va considerato che l’ISTAT prende in considerazione l’apicoltura unicamente in occasione dei censimenti generali dell’agricoltura. L’effettiva produzione italiana di miele, secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale sul miele, si attesterebbe su oltre 23,3 mila tonnellate, circa tre volte quella stimata dall’ISTAT.
Dal 31 ottobre scorso e fino al prossimo 14 novembre gli apicultori possono fare domanda di contributo alla Regione Veneto, che ha stanziato 6,95 milioni di euro a favore degli apicoltori che, alla data del 31 dicembre 2021, sono in regola con gli obblighi di identificazione degli alveari e sono registrati in Banca Dati Nazionale Apistica come apicoltori professionisti, che producono per la commercializzazione ed esercitano l’apicoltura sia in forma stanziale, sia praticando il nomadismo anche ai fini dell’attività di impollinazione.

«Le api gravemente minacciate dal cambiamento climatico sono l'emblema di un ecosistema confuso – commenta la presidente di Cia Venezia Federica Senno - fatto di temperature anomale e di eventi atmosferici intensi, dove la natura non segue i suoi naturali cicli. È necessaria una presa di coscienza collettiva, una maggiore tutela ambientale oltre che gli adeguati fondi ad hoc per gli apicoltori professionali. La salvaguardia del nostro pianeta passa anche per la scelta consapevole dell'acquisto di miele italiano, da apicoltori locali che quotidianamente curano e tutelano le api e l'ambiente».