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Consumo del suolo

Nel Veneziano ogni giorno spariscono 3mila mq

Centoquaranta ettari consumati nel 2019, chiediamo ai Comuni di invertire la tendenza

Centoquaranta ettari, un milione e quattrocentomila metri quadri. Per rendere l’idea, è l’equivalente dell’area di 200 campi da calcio. È il suolo consumato in provincia di Venezia nel corso del 2019 rispetto all’anno precedente, secondo il rapporto 2020 dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Il totale di superficie “artificiale” nel veneziano raggiunge i 36mila ettari, cioè 360 chilometri quadrati su 2.472,91 kmq di superficie complessiva.

«Il dato più significativo – spiega Paolo Quaggio, presidente di Cia Agricoltori Italiani Venezia - è che dividendo la crescita di consumo del suolo del veneziano per tutti i giorni del 2019, ogni giorno stati consumati 0,3 ettari, 3mila metri quadrati».

A livello nazionale, gli incrementi maggiori, indicati dal consumo di suolo netto in ettari dell’ultimo anno, sono avvenuti nelle regioni Veneto (con 785 ettari in più), Lombardia (+642 ettari), Puglia (+625), Sicilia (+611) ed Emilia-Romagna (+404). La Valle d’Aosta è la prima regione a consumo “quasi zero” (solo 3 ettari in più).

Poco invidiabile il record anche tra le province.

«Con 140 ettari, Venezia – conferma Quaggio - è l’ottava provincia in Italia nella quale il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2019 rispetto al 2018 (e al primo posto c’è un’altra provincia veneta, Verona, con 252 ettari di nuovo suolo artificiale)».

Entrando nel dettaglio dei 44 comuni della città metropolitana, in termini assoluti ad avere consumato più suolo nel 2019 è il capoluogo Venezia (+29,48 ettari), seguito da Fossalta di Portoguraro (+17,40 ettari), Jesolo (+15,01 ettari) e Portogruaro (+13,37). Ma è la parte centrale della provincia, tra Riviera del Brenta e Miranese, quella che vede i territori più impermeabilizzati artificialmente. Svetta Spinea, che alla fine del 2019 ha il 42,9% del proprio territorio consumato. Seguono Fiesso D’Artico (37,1%), Martellago (35,9%), Salzano (29,5%) e Fossò (28,8%). Tra le prime dieci anche Pianiga, Noale e Mirano. L’unico comune fuori dagli ambienti di Riviera e Miranese è Marcon (27,9%).

Come fa notare Ispra, «questo fenomeno risulta più intenso nelle aree già di per sé molto compromesse. Fra le tante criticità, tale incremento contribuisce a far diventare sempre più calde le città».  
«Più si consumano appezzamenti – aggiunge il presidente di Cia Venezia - più diminuisce una risorsa ambientale che è strategica per la vita di ogni essere vivente: si tratta di un processo legato prevalentemente alla costruzione di nuovi edifici, capannoni e insediamenti, oltre che alla realizzazione di infrastrutture stradali o ferroviarie. Il suolo è un bene primario non rinnovabile e il suo consumo dev’essere fermato al più presto. C’è una legge della Regione Veneto, la legge regionale 6 giugno 2017, che mira a ridurre progressivamente il consumo di suolo non ancora urbanizzato, in coerenza con l'obiettivo europeo di azzerarlo entro il 2050».

«È anche vero – aggiunge Quaggio - che su 44 comuni della città metropolitana, quasi la metà (20) hanno una crescita inferiore all’ettaro e addirittura tre vanno in controtendenza, restituendo all’ambiente suolo che prima era edificato. Le tre eccezioni sono Mira (- 0,25 ettari), Pramaggiore (-0,90) e Noale, che recupera 1,06 ettari».

Una strada che Cia Venezia invita a percorrere con decisione. «Cementificando si mette a rischio il sistema di tenuta idrogeologico; in caso di eventi eccezionali le acque meteoriche non vengono drenate in maniera corretta, provocando danni alle città e alle coltivazioni. La riduzione di suolo libero causa inoltre una crescita dei costi dei terreni agricoli e comporta l’impossibilità per le aziende, e soprattutto per i giovani imprenditori, di poter ingrandire o avviare un’attività. Per questo chiediamo ai sindaci la stesura di bilanci dei consumi del suolo: sono strumenti finalizzati al riutilizzo degli spazi e degli edifici mediante degli incentivi ad hoc. Inoltre chiediamo di non cambiare la destinazione d’uso degli appezzamenti ancora liberi nell’ambito dei futuri piani degli interventi comunali. Un modo, questo, per conservare pure il paesaggio circostante e, di conseguenza, l’agricoltura. Proponiamo, infine, di sviluppare infrastrutture già esistenti, migliorandole, piuttosto che realizzarne di nuove».

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